Il 16 aprile, in un’intervista radiofonica, Peter Singer ha ribadito le sue tesi sull’infanticidio di bambini con handicap. L’ha fatto:
– NON seguendo le proprie tesi sul dolore – inteso come qualsiasi genere di sofferenza sia fisica che psicologica, a prescindere da chi lo provi;
– NON ripartendo dall’etica delle relazioni uomo- animale – lo specismo secondo lui sta sullo stesso piano del razzismo e del sessismo, è “ un pregiudizio o atteggiamento di prevenzione a favore degli interessi dei membri della propria specie e a sfavore di quelli dei membri di altre specie”;
– NON perché va a scardinare ancora una volta le fondamenta delle convinzioni morali di tanti – lui ha sempre rifiutato un valore assoluto alla vita, non è sempre sbagliato uccidere e non tutte le vite hanno lo stesso valore, il che significa che se fossimo costretti ad uccidere qualcuno non dovremmo guardare alla razza, al sesso o alla specie ma solo alla volontà e al desiderio o meno di continuare a vivere del soggetto in questione e della qualità della vita che questi condurrebbe.
NO.
E porca miseria lui era quello che sosteneva una tesi meravigliosa: “se è in nostro potere impedire un male, senza con ciò sacrificare nulla che abbia un’analoga importanza morale, siamo difronte all’obbligo morale di agire”, e cioè “dovremmo donare tanto da far sì che la società dei consumi, dipendente com’è dal fatto che le persone spendono soldi in banalità invece che ad aiutare le vittime delle carestie, si indebolisca e forse perisca del tutto”.
Lui era quello che leggevo illudendomi che forse si poteva fare qualcosa ancora per questo mondo, che il rispetto per ogni essere potesse davvero realizzarsi e che fosse possibile attraverso una vera libertà di scelta, non per forza condivisibile ma maledettamente individuale. Lui che aveva detto chiaramente che “soffrire e morire di fame, freddo e malattia è un male”. È un male. E di conseguenza i ricchi paesi occidentali avevano il dovere di provvedere al benessere dei paesi più poveri.
Lui. Singer.
Lui in questa intervista radiofonica ha detto chiaramente e senza mezzi termini e possibilità di fraintendimenti, che è necessario l’infanticidio dei bambini con handicap PER ABBATTERE I COSTI NELLA SANITÀ.
Tra costi e benefici, questa sua tesi – che sta prendendo piede negli USA – ha una sua logica. Tanto è vero che il governo e le compagnie assicurative iniziano a ponderare la faccenda per negare le coperture delle cure dei neonati gravemente disabili.
Singer indica il bambino disabile con il pronome “it”.
It. Si usa per cose e animali.
Gli animali, dunque, soffrono e noi abbiamo il dovere di non procurare questa sofferenza, i poveri soffrono e i ricchi devono mettere mano al portafoglio, il malato terminale soffre e ha il diritto di scegliere di non farlo, una donna soffre e ha il diritto di abortire… un bambino handicappato non ha alcun diritto. E nemmeno i suoi genitori.
Perché quando togli un respiratore a un bambino che ha una massiccia emorragia cerebrale (ed è destinato a rimanere disabile), lo fai per ridurre i costi di una sanità che non funziona, di uno Stato che è marcio e che dovrebbe spendere nella ricerca e non operare dei tagli su ciò che ritiene inutile.
La maggioranza dei bambini disabili che ho visto lo sono diventati grazie a cure mediche errate e parti che nemmeno Dario Argento potrebbe immaginare. Anche quelli che hanno una patologia genetica sono pezzetti di cuore che deambulano, a volte arrancando, in un mondo che non li accetta e che non sa prendersi cura di loro. E i loro genitori li amano. Come sia possibile questo, se sia giusto o sbagliato non deve riguardarci. Vanno rispettati. Così come vanno rispettati i loro (dei disabili) sguardi così patologicamente diversi dalla maggioranza.
E io non mi interrogo più sul valore della vita e dell’essere umano. Penso solo, con molta amarezza, a quanto questa vita venga dopo costi e profitti.
Se vi siete fermati a leggere fin qui e avete prove inconfutabili riguardo il dolore che prova una persona in coma evitate di fornirmele perché ho letto varie ricerche sull’argomento. Poi però chiedetevi se un disabile che non è in grado di comunicare è esente dallo stesso tipo di dolore di una persona in coma, e se un feto ha percezione sempre dello stesso dolore. E se discutete su cosa sia giusto da fare nei termini che riguardano la vostra individualità e scelte di vita, sappiate che non le condivido ma le rispetto. Non discutete su ciò che è giusto fare per un altro essere umano. Chi è davvero capace di intendere e di volere? Siamo sicuri che siamo noi?
Fermatevi a pensare per un attimo e guardate le persone, tutte, negli occhi. Forse scoprirete un mondo che non si può quantificare in termini di denaro ma che è ben più prezioso di tutti i soldi che potete immaginare. Fermatevi a pensare che non siete dèi e che non disponete del potere di far vivere o morire gli esseri viventi. Per questa categoria si usa un solo termine: assassino.
Buona vita ai viaggiatori.