Intervista a Andrea Cascioli

[Riporto integralmente la mia intervista pubblicata un anno fa su Writer’s Dream]

Oggi è una splendida giornata. Di quelle che apri le finestre e ti accorgi che un sole così non l’avevi mai visto, che respiri l’aria e sembra più pulita, che senti il sole sulla pelle e ti piace la sensazione di caldo. In una giornata così, decido di scegliere una buona compagnia e prendere un caffè. Ho voglia di fare quattro chiacchiere che riempiano questa splendida cornice che è il WD. Perciò, chiamo Andrea Cascioli.

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Siamo di fronte alle tazzine fumanti. E anche il caffè per Andrea può essere un pretesto per creare. Guardate qui che cosa ha fatto con inchiostro e un tovagliolo inzuppato di caffè. image

Come il Dylan Dog che avevamo pubblicato nell’articolo precedente. Questo Nathan mi ha tenuto incollata allo schermo tanto che adesso è diventato lo sfondo del mio desktop. Ogni tanto ci parlo, quando mi blocco e non so più che scrivere. Lui non mi risponde, o forse sì: mi guarda e sembra leggermi dentro. Ma adesso, riprendo da dove ero rimasta: tazzine di caffè, stop al tempo e chiacchiero un po’ con Andrea.

D. La prima domanda è di rito: come hai iniziato, come hai scoperto la tua passione e come si sia impossessata di te? Andrea, con i suoi sogni iniziali e con tutta la forza che c’è voluta per arrivare a entrare nell’Olimpo degli dèi disegnatori.

R. È cominciato a dieci anni. È cominciato per scappare da una famiglia brutta e violenta. Disegnare è stata una porta che i miei genitori non potevano aprire per inseguirmi. Io mi sentivo al sicuro ed in quel modo provavo meno dolore e meno solitudine. Sostanzialmente io sono un narratore, Anna. Racconto per immagini come prima raccontavo con il microfono delle Radio italiane. Non l’ho fatto perchè mi piacesse, ma principalmente perché ne avevo bisogno.

D. Hai puntato il riflettore su un termine che ricorre spesso in campo artistico: bisogno. Spesso chi scrive, disegna, compone musica obbedisce proprio al bisogno di entrare in contatto con se stessi e trovare quell’equilibrio che permetta di vivere senza filtri. Qual è il bisogno che racconti?

R. Oggi racconto attraverso Facebook per esempio, del mio privato. Avrai notato che su internet non posto quasi mai cose di lavoro. Non lo uso come vetrina per far vedere che disegno bene: lo uso per raccontare le mie storie personali. Che siano storie vere, rispetto a quelle di fantascienza che disegno, fa poca differenza: narrare è un bisogno per sentirsi meno soli.

D. Anche scrivere non è semplice. Eppure riesci a essere presente e sempre molto sensibile nei confronti delle persone che ti circondano. Tra le foto che condividi con gli amici ce n’è una (la mia preferita!) che ti ritrae con una gattina di cui ho seguito le vicende. Ho sofferto con te perché hai reso possibile entrare nel tuo dolore, proprio attraverso le tue storie. Ecco, non voglio riaprire vecchie ferite, perciò ti chiedo una curiosità: sei il papà di Nathan Never. Ti è mai venuta voglia di disegnare in una sua storia dei gatti?

R. No, non vorrei disegnare gatti nelle storie di Nathan. Non ne sento il bisogno. Nella mia vita i gatti (fino ad oggi ne ho avuti 54) sono stati una soluzione per i miei problemi affettivi. Artisticamente, potendo scegliere, per il mio bisogno di raccontare (per immagini) mi soffermerei sulle problematiche, non sulle soluzioni. Narrativamente è molto più interessante un uomo senza ombrello sotto un temporale anziché con un banale ombrello piazzato opportunamente al momento giusto. Nella mia vita i gatti sono stati il mio ombrello, la mia soluzione. Disegnarli non mi darebbe stimolo. Narrativamente mi trovo più a mio agio a disegnare drammi umani e cupezze, come a denunciarli. Nella vita reale, trovo appagamento a ribaltare i destini brutti: anche in questo i gatti sono stati funzionali, mi hanno permesso di sentimi capace di fare la differenza. Da qualche anno lo faccio anche con gli umani. Questo dipende, credo, dal fatto che da bambino non sono riuscito ad oppormi a certi torti subiti. Da bambino e poi ragazzo il disegno è stato una fuga, poi è diventato uno strumento. Ma il nocciolo della questione rimangono quei torti e quel periodo.

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D. So che sei autodidatta e questa è una cosa che mi ha spiazzato. Credevo che tu avessi fatto un percorso specialistico e invece sei una di quelle rare persone che hanno un talento e riescono a coltivarlo fino a viverlo come professione. Ciò che mi incuriosisce riguarda la scelta, se vogliamo, della tua espressione, del tuo bisogno. Vorrei capirti, forse per capirmi, e offrire una chiave interpretativa ad altri. A me capita di disegnare quando ho emozioni forti da esprimere, di scrivere quando sento il bisogno di… leggermi. Tu hai lavorato nelle Radio italiane, potresti usare la scrittura per narrare ciò che hai dentro, eppure hai scelto come mezzo espressivo il disegno. Emozioni forti da incidere sul foglio o semplicemente attitudine? Sei stato tu a scegliere questo mezzo meraviglioso o si tratta di una propensione innata?

R. Da bambino non avevo la padronanza dell’italiano che ho oggi, e nemmeno le esperienze e le conoscenze per poter scrivere qualcosa di diverso dallo scimmiottare i romanzi di Asimov o di Salgari. La scelta del disegno era scontata, perché gestuale e non necessariamente aveva bisogno di una preparazione tecnica. Ovviamente dopo ho studiato molto. Negli ultimi quarant’anni posso contare decine di migliaia di ore al tavolo da disegno: non frequentare Scuole d’Arte non significa necessariamente non aver studiato. Lo stesso posso dire della Radio o dell’italiano: anche riguardo a questi non ho frequentato Scuole: ma ho passato una vita a studiare l’una e l’altro.

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Da adulto, padrone della lingua, per comunicare ho scelto il medium più adatto all’epoca: nella Radio girava molto denaro, grazie alla pubblicità ed al consumismo più sfrenato. Raccontare le mie storie e le mie emozioni (anche musicali) mi veniva naturale e il fatto di essere molto perfezionista tranquillizzava i miei Editori radiofonici. Mi pagavano benissimo per fare quello che avrei fatto anche gratis. Ma un Artista questo non deve mai dirlo, e per questo io mi sono sempre posto come un artigiano: perché gli artigiani sono pagati sempre, gli Artisti si vendono malissimo. Grazie alla Radio ho superato le mie timidezze, ho conosciuto l’applauso e la carezza di un pubblico affettuoso. Inoltre il mio parlare risultava “vero” e spontaneo, e questo in Radio era rarissimo. Fino al 1990 ho lavorato in 23 emittenti radiofoniche, sono stato Direttore Artistico in 12, ne ho comprata una. Poi dal 1990 al 1992 ho aperto uno studio di registrazione, l’ho gestito per 2 anni, ho scritto spot pubblicitari, musiche, lavorato con cantanti e imparato molto su come narrare le emozioni, parlate, musicali, e di altro tipo. Intanto disegnavo sempre, privatamente, e senza saperlo studiavo sempre come raccontare anche per immagini. Nel 1993 ho deciso che sarebbe stato il caso di investire nel fumetto: stava diventando un medium ricco e importante e mi misi a studiarlo seriamente: mi sono chiuso in casa per un anno e mezzo e mi sono dedicato solo allo studio dell’anatomia e della prospettiva. Poi nel 1994 ho presentato il mio portfolio a Stan Lee e a Bepi Vigna. Ho fatto le prove in Bonelli e sono stato preso. Contemporaneamente Stan mi organizzò un appuntamento con Tom De Falco (che all’epoca era il Direttore Generale della Marvel) e mi presero anche in Marvel.

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All’epoca la Bonelli voleva l’esclusiva, e dovetti scegliere. Per i successivi vent’anni ho disegnato Nathan Never e non sono pentito della mia scelta. Sostanzialmente il fatto di non scrivere non è stata una mia scelta, ma una scelta dell’Editore: evidentemente mi trova più adatto come disegnatore ed in quel ruolo non mi ha mai fatto mancare il lavoro. Personalmente scrivere sceneggiature mi costerebbe anche meno fatica, ma ho trovato un equilibrio nella Casa Editrice e non voglio andare a turbarlo con cambi di ruolo destabilizzanti. La mia scelta rispetta una politica aziendale che è certamente più grande di me, del concetto di talento e delle potenzialità inespresse che sicuramente sono in ognuno di noi. Lo storytelling è il mio forte. La narrazione. Oggi, dopo quarant’anni che disegno (20 da professionista) e trentatré che comunico, ti posso dire che in realtà non ho mai cambiato mestiere: io sono un narratore. Tutto il resto è solo un accessorio, il medium di moda del momento. Negli anni ’80 la Radio.

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Negli anni ’90 il Fumetto. Forse, oggi, il medium sono i Social Network. Mi sono affacciato anche a quelli. E vedo che la mia propensione è di interfacciarmi con essi in modo autonomo dal disegno. Avrai notato che in un mondo virtuale di gente che non perde occasione per far vedere quant’è brava, io non posto quasi mai i miei disegni, preferisco scrivere i miei pensieri etici e le mie sensazioni, tra animo umano e vicende feline. Sì, forse i Social Network sono il nuovo medium attraverso il quale comunicare ancora: ma devo trovare ennesimamente il modo di concretizzare la cosa monetariamente, altrimenti non mi interessa: sono pur sempre un artigiano, mica un Artista. Devo pagare il mio pensiero. Io sono un mercenario. Se aprirò un blog lo chiamerò “Cogito, ergo spam.” Lo vedi? Resto un creativo.

D. Sei un creativo, c’è poco da dire: il titolo del blog mi pare azzeccatissimo. Tutto quello che hai detto finora mi porta alla seconda domanda che mi era venuta in mente prima e che riguarda proprio i tuoi pensieri etici. È vero, usi i Social non per pubblicizzarti ma per esprimere ciò che pensi, senza veli e senza filtri. Ho seguito con interesse le ragioni per cui non intendi andare a Lucca Comics e ho apprezzato, come sempre, la tua onestà artistica. Cosa pensi si possa fare in Italia nel campo della promozione del fumetto, cosa è stato fatto male finora e cosa manca?

R. La cosa peggiore è stato fare gli Artisti. L’errore di disegnatori e sceneggiatori è stato di non avere una coscienza sindacale, di porsi individualmente, di non considerarsi parte di un tutto, di non aver saputo costruire una categoria compatta e che avesse un peso contrattuale. Ognuno disposto più o meno a lavorare gratis o quasi pur di pubblicare. Provassimo a chiedere ad un idraulico di sturarci il lavandino gratis pur di poter dire ai suoi amici “sono un vero idraulico, ecco le prove!” riceveremmo un gran pernacchione. Con gli Artisti questo purtroppo non accade. Queste persone hanno contribuito al proliferare di piccoli falsi Editori che non sono nemmeno degni di questo nome, poveri di mezzi economici e di idee. E privi totalmente di gusto e di coraggio. In altri Paesi, un Editore senza soldi e senza idee viene considerato dagli Autori come spazzatura, in grado di inquinare la categoria, e non certo un’occasione. Quegli Editori italiani incapaci negli ultimi anni hanno devastato un mercato che forse poteva offrire potenzialità interessanti. Anche a quegli stessi Autori che non sapevano contrattare. Queste oggettive responsabilità hanno reso il mercato piatto, e la categoria oggi sembra non avere più tanta dignità. Inoltre sarei favorevole a limitare quella parola orribile che è “fumettaro”. Già il termine “fumetto” sembra essere un “lavoretto”, una “cosetta”. Preferirei si cominciasse a parlare di “narrativa disegnata”. “Fumettaro” è una parola orripilante, alcuni miei colleghi se ne pregiano, in nome del fatto che lo disse Pratt. Ma Pratt lo disse in un periodo ed una condizione in cui apparire anticonformista pagava assai; oggi gli Autori che si autocertificano “fumettari” non guadagnano nemmeno un decimo di quello che guadagnava lui.

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In un panorama del genere preferisco definirmi “artigiano” e parlare del mio mestiere come di “narrativa disegnata”. In concreto le Case Editrici italiane degne di questo nome sono pochissime. La Bonelli, che è forse la più famosa di queste, da sessant’anni paga bene e puntualmente, sperimenta e rinnova i propri prodotti inediti e se li auto produce. Ma che sia praticamente ormai una delle pochissime realtà serie non fa onore alla categoria. Ci vorrebbe un cambiamento. Il degrado culturale e la sempre minore attitudine alla lettura non aiutano.

È sempre un immenso piacere parlare con te, Andrea. Non ti trattengo oltre, ma fornisco ancora il link ai nostri lettori il link della tua pagina Facebook e una data: 6 novembre 2013. Ho partecipato anche io alla discussione molto interessante, nella quale è intervenuto anche Cladio Villa. Leggerti, oltre a vedere ciò che esprimi attraverso le tue tavole, credo che sia il modo migliore per comprendere il magnifico mondo che hai dentro. Io ti ringrazio a nome di tutto lo staff e degli utenti che si fermeranno a leggere. E per questa fantastica tua dedica… sono senza parole. Grazie di cuore.

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