Il cerchio, Dave Eggers

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Ho letto in giro diverse recensioni e critiche. E stasera mi è partito l’embolo del dici-anche-tu-la-tua-che-tanto-che-ti-frega-se-non-sei-una-critica-e-non-hai-la-puzza-sotto-al-naso-di-quelli-che-oh-non-è-mica-come-L’operastruggentediunformidabilegenio-che-magari-non-hanno-nemmeno-letto-ma-che-prendono-come-pietra-miliare-della-loro-vasta-cultura-del-sentito-dire.
Ok. Riprendo fiato e scrivo di getto questa che non sarà una recensione, perché non so esattamente dove andrò a parare.

Finora è stato paragonato a 1984 di Orwell e a Il mondo nuovo di Aldous Huxley, il tutto condito con distopiche spiegazioni, ché la distopia – non dimentichiamolo – va di moda oggigiorno.
Ebbene sì, il genere è proprio distopico. Quindi è escluso che piacerà ai lettori forti che tendono prima a precisare che non leggono aSSolutamente fantasy e poi, solo poi, a presentarsi con nome o nick. Come facciano ad amare Calvino e a non perdere un’uscita di Saunders, della Bender è un mistero – eh, ma quelli scrivono “cose surreali” mica è fantasy! Nell’era di Internet trovo paradossali certe affermazioni. Ma tant’è. Divago come al solito. O forse no. Perché sul New York Time, un anno fa ho letto delle analogie interessanti che non centrano nulla coi paradossi e tanto con la voglia di visibilità. Sono andata a recuperare quel pezzo perché mi era rimasto impresso. Il Cerchio ricorda la circolarità della struttura panoptica, secondo il NYT, che il filosofo Foucault immagina “in un regime di sorveglianza perfetta, fondato cioè sul perenne controllo reciproco, assicurato oggi da quel desiderio di visibilità alla base dell’uso dei social network che tende ad abbattere i confini tra pubblico e privato“.
Eggers in effetti scrive un romanzo di critica sociale ed economica.
Gli elementi centrali sono da identificare in due tipologie di gruppi-attori: da una parte i Saggi, i “padroni” del web (il loro potere è conoscenza, l’accesso illimitato a informazioni relative a persone, aziende e istituzioni, abbattimento della privacy); dall’altro gli utenti pervasi da un senso di accettazione, accondiscendenti, fiduciosi (o menefreghisti) nei confronti di questi mezzi di comunicazione.
Lo scrittore immagina che tutti i grandi gruppi che dominano il web oggi – Facebook, Twitter, Google, Klout… – vengano acquisiti da un’unica società: il Cerchio. Mae Holland ci presta i suoi occhi e ci porta all’interno di questa industria. La giovane, fresca di laurea e con un’unica esperienza lavorativa (deludente) alle spalle, inizierà a occuparsi dell’assistenza clienti per poi scalare i vertici dell’azienda.
Non mi addentrerò oltre nei dettagli dei personaggi e della loro strutturazione, tanto meno nella trama. Ho trovato però abbastanza singolare una certa unanimità di lettori che percepisce Mae come un personaggio antipatico e nessuna considerazione sulla più grande metafora del libro.
Fin dalle prime pagine ho avuto un’unica sensazione che mi sono portata addosso fino alla fine della storia: mi sentivo nuda. Tutto il vetro e la trasparenza dell’intera struttura, i riverberi della luce che la mente immagina, acceca gli occhi della mente donando un senso di sospensione e di corpo vuoto. L’effetto è di anima scoperta, di fragilità. Mae, come alterego del lettore è il perfetto ologramma del “vestito” che indossiamo nella società, quell’abito fatto di pelle e di moda che nasconde la nostra essenza.
E il mondo di Eggers è a metà tra il futurista e il futuribile, è un domani nemmeno poi così lontano, un “quasi” oggi in bilico tra la mezzanotte di ieri e l’alba dell’implacabile nuovo giorno. Ci vogliono un po’ di esempi per chiarire ciò che intendo.
Eggers parla del furto di dati privati dal cloud prima che accadesse realmente con un grande boom mediatico in tutto il mondo – ma lui è un visionario, oppure conosce abbastanza bene la rete, tanto da immaginare prima del tempo qualcosa che era prevedibile.
Guarda caso descrive un software di riconoscimento facciale (e tutti ricordiamo la strage di Boston e il modo grazie al quale sono stati individuati i colpevoli). Lo stesso software, sempre nel libro, ha accesso ai contenuti degli utenti pubblicati sul web: una sorta di drone che ti stana ovunque stia cercando di nasconderti insomma. Questa tecnologia immaginata da Eggers è TruYou (Il Vero Te): con un solo account si gestisce un’intera esistenza.
Il mondo de Il cerchio, dunque, esiste già: lo stiamo vivendo. Eggers può anche chiamare Zing i Twit, smile/frown i “mi piace/non mi piace” popolari su Facebook, chiamare PartiRank il Klout, ma la sostanza mediatica in cui realmente galleggiamo è quella.

Il Cerchio come un Grande Fratello orwelliano sostengono molti. Io dico di no.
Si, vabe’ Eggers ha sempre confessato il suo amore per Orwell, però è in altri due “grandi” – amati ugualmente dallo scrittore – che vedo la sua ispirazione.
Penso a R. W. Emerson che ne Il cerchio e altri saggi afferma:

La sola cosa che noi ricerchiamo con insaziabile desiderio è dimenticare noi stessi, perdere la nostra sempiterna memoria e fare qualcosa senza sapere come o perché: in breve, tracciare un nuovo cerchio“.

Tracciare un nuovo cerchio, così come il mandala di jungania memoria, un’immagine mentale che viene visualizzata proprio quando l’individuo ne ha più bisogno. E il cerchio tracciato dall’uomo di Eggers è molto simile a quello che vive ne Il mondo nuovo, di Aldous Huxley.

La felicità effettiva sembra sempre molto squallida in confronto ai grandi compensi che la miseria trova. E si capisce anche che la stabilità non è neppure emozionante come l’instabilità. E l’essere contenti non ha nulla d’affascinante al paragone di una buona lotta contro la sfortuna, nulla del pittoresco d’una lotta contro la tentazione, o di una fatale sconfitta a causa della passione o del dubbio. La felicità non è mai grandiosa.”

La felicità non è mai grandiosa, e più in là nel libro Huxley farà dire a Mustafà Mond: “la popolazione ottima è modellata come un iceberg; otto noni al di sotto della linea d’acqua, un nono sopra“.

E per una siffatta popolazione occorre creare strumenti che producano bisogni di socialità innaturalmente estremi. Ne Il Cerchio, si legge infatti:

Nessuno ha davvero bisogno del numero di contatti che fornite voi. Non porta a nessun miglioramento. Non è nutriente. E’ come le merendine. Sai come le studiano? Determinano con scientifica precisione di quanto sale e quanti grassi hanno bisogno per farti continuare a mangiare. Tu non hai fame, non senti il bisogno di mangiare, quello che hai davanti non ti stuzzica, ma continui a mangiare queste calorie vuote. Ecco quello che spacciate voi. La stessa cosa. Un numero incalcolabile di calorie vuote, il loro equivalente digitale e sociale. E le calibrate in modo tale da rendere altrettanto dipendenti i loro consumatori.

Nessuno ci costringe a far parte dei social o di comunità. Ci incateniamo da soli nell’assoluta libertà di una dipendenza talvolta inutile, membri onorari del sentito dire. Perché non è importante comprendere e comunicare emozioni, andare sott’acqua e godersi l’apnea. No, è importante scivolare sulla scia di un’acqua che è specchio di apparenza, o viaggiare in scia di altri che stanno sempre lì sul pelo, veloci nell’andare in tutte le direzioni tranne che di prendere il coraggio di fermarsi per nuotare nel liquido primordiale della vita.
E infatti, alla fine del libro Eggers scrive:

La maggior parte della gente darebbe ciò che sa, darebbe tutte le persone che conosce… darebbe qualunque cosa pur di sapere che è stata vista e riconosciuta, e che potrebbe persino essere ricordata. Sappiamo tutti che moriremo. Sappiamo tutti che il mondo è troppo grande perché si possa essere significativi. Così non abbiamo altro che la speranza di essere visti o sentiti, anche solo per un momento“.

È così. Per molti è così. Per quei cinque minuti di popolarità c’è gente disposta a tutto. E poi un gran senso di vuoto. Leggo in giro per il web cose che mi lasciano la sensazione di navigare su una piatta superficie, uguale per tutta l’estensione del suo perimetro.
Molto deprimente. Se non credessi anche io come Eggers nella self-reliance emersoniana, cioè a quella meravigliosa possibilità che ha l’uomo di credere in se stesso. D’altra parte è questa la finalità del cerchio più conosciuto, e studiato, al mondo: il mandala. Disegnare un mandala produce un’azione di riequilibrio tra corpo e mente che induce a un percorso di introspezione volto al benessere. Il risultato finale è dunque l’equilibrio.
Ma Eggers mi regala un nuovo spunto di riflessione: stay human, dice. E ha ragione: se perdo la mia umanità a nulla valgono i disegni che traccio per terra perché la sabbia colorata prima o poi verrà spazzata via dal vento. Stay human, credi in te stesso e ascolta il tuo cuore.

Voi potete continuare a dire che Eggers è un “paraculo” (non so quanti miliardi di volte l’ho trovato), che non ha detto nulla di nuovo con Il Cerchio, che come L’opera struggente…, che Wallace avrebbe scritto tre soli capitoli e non 400 pagine, che bla-bla-bla. Io dico che questo è un bellissimo libro e se non siete abituati ad andare in profondità tra i segni scritti mi dispiace per voi.

Huxley disse: “Le parole possono essere paragonate ai raggi X; se si usano a dovere, attraversano ogni cosa. Leggi, e ti trapassano.”

Aveva ragione. Eggers le ha usate a dovere. Anche in questo libro c’è il suo cuore in perfetto equilibrio con il cervello che trasmette instancabilmente il suo “stay human”. Finché questo mantra non s’infila sotto la pelle e inizia a circolare nel sangue per ricordarti che un cuore ce l’hai anche tu.

Stay human 😉

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