Il primo viaggio di Selene tra le stelle, A. Frailis

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Titolo: Il primo viaggio di Selene tra le stelle
Autore: Alessandro Frailis
Editore: I sognatori
Pagine: 156
ISBN: 978-88-95068-35-0

Le mie recensioni vanno un po’ dove pare a loro e in genere non mi pongo molti problemi. Mi piace scrivere quello che il libro mi ha lasciato.
Questo libro mi ha lasciato molto.

La sinossi è quello che, in questo caso, mi viene più facile: Riccardo racconta del suo unico amore, Selene. Lo fa creando un dialogo con lei che l’ha lasciato, e così compie il suo percorso che lo porterà a comprendere meglio Selene. Non ha smesso di amarla nemmeno un minuto da quando lei se n’è andata. Ma si ritroveranno in un finale che è aperto ma intuibile.

L’autore lo conoscevo già perché presente in numerose antologie con i suoi racconti. Anche dai primi esperimenti narrativi si intravedeva il suo potenziale di scrittore che qui, in questo romanzo, dirompe pagina dopo pagina.
Non considero quindi Alessandro Frailis un esordiente perché questa è la sua prima pubblicazione ma un autore che inizia a prendere il posto che merita tra gli scrittori.

Questo libro mi ha offerto vari spunti di riflessione e vorrei partire dalla considerazione se sia giusto o sbagliato dare spazio alla propria fantasia.
Quando si decide di uccidere la propria fantasia si fa un danno enorme. Enorme perché di scrittori validi non ce ne sono e qualcuno, come in questo caso Frailis, può smuovere le acque di una narrativa italiana che puzza di stantio e di imitazioni varie, a seconda della moda del momento. Siamo già alla fine della stagione degli scrittori americani pubblicati dalla Minimum Fax e ancora le nuove tendenze letterarie non sono ben chiare, giacché a volersi basare sulle classifiche degli store ci sarebbe da aprire un altro dibattito.

E quindi sarebbe un danno, dicevo, un danno enorme soprattutto verso se stessi.
Lo scrittore in generale, come tanti altri, misura la vita con la propria creatività. La fantasia è solo il mezzo per capirci e capire ciò che ci circonda. Questo vuol dire essere strani? Forse. Ma se è così… benvenuta stranezza.
La vita quotidiana, con tutti i suoi problemi e responsabilità a volte toglie il respiro. Ma la fantasia per noi, per tutti, è il soffio vitale. Probabilmente riusciremmo a stare in apnea per molto tempo nell’acqua stantia e putrida di questa società. Senza il soffio vitale della creatività non dureremmo più di un secondo. Come dei sub ci muoviamo nuotando e scandagliando fondali che sono uguali l’uno all’altro, alla ricerca di un luogo in cui fermarci, di un compagno con cui nuotare perché a volte il silenzio della profondità fa paura e nuotare in due… Sulle spalle non portiamo uno zaino. Non abbiamo bisogno di portare emozioni, perché belle o brutte quelle sono sempre dentro di noi. Portiamo l’ossigeno, quel soffio vitale che permette di restare ancora in vita.
Ma sto divagando. E il libro non parla di sub.

Con un ritmo narrativo che fa procedere nella lettura velocemente, quasi come si trattasse di un film, si attraversano le vite dei due personaggi, e quelle di figure come Mario o Sojir, ciò che rimane impresso nella mente è il prologo che racchiude in sé la chiave per comprendere Riccardo. “Il futuro è qualcosa che non mi spaventa. Che sta davanti, piatto e anonimo, e che supererò senza sforzarmi di capirlo. Senza viverlo.” Gli occhi di Riccardo si posano su un mendicante e sul suo cane: “ha occhi antichi e modesti, di qualcuno che ha ceduto la vita in cambio di nulla”. Il cuore di Riccardo è quel mendicante.
Però il libro di Selene ha fatto per me qualcosa che avviene di rado: ho sentito il profumo di quel soffio, l’ho ascoltato mentre soffiava dentro di me fino a farmi commuovere molto – cosa difficile – e farmi commuovere ancora dopo la seconda lettura e la terza… – evento unico, direi.
Questo è un libro che non mi stancherò mai di leggere perché la sua storia, la poesia che ne deriva, è una lama sottile che incide la pelle per andare a raggiungere i centri nevralgici più nascosti e farli sentire ancora vivi.

Fin dalle prime pagine del libro sono entrata in contatto con il protagonista della storia, Riccardo, e ne ho seguito le vicende come se fossi io. Ho avvertito il suo dolore e tutto quel mare di sensazioni che si provano quando finalmente comprendi di aver perso una persona molto importante e scopri che non è più vivere senza. Nella non vita del protagonista ho passeggiato per le strade di Cagliari, ne ho respirato i profumi e i cattivi odori, ne ho visto i colori. Perché si tratta di un quadro in realtà, e non di un semplice libro. Il tratto deciso, eppure così lieve dell’autore, ha giocato sapientemente con ogni piccolo spazio narrativo a disposizione: non c’è una parola fuori posto, non un errore, non eccesso di sentimentalismo o atti – escamotage tecnici – volti a far continuare la lettura. Non c’è inganno, razionalità (o furbizia) da parte dell’autore ma una grande onestà intellettuale e un guizzo creativo così genuino che colpisce dritto il cuore.
Tutte le sensazioni che ne derivano sono portate in volo da lievi farfalle che volando per l’intera storia portando il suono della poesia.
È poesia questo romanzo. Poesia allo stato puro. Tratteggiata con un uso abbondante di metafore e di simboli, dipinta con immagini forti che hanno tutti i colori del mondo e di un’esistenza che è uguale alla mia, un modo di fare che è come il mio, un dolore che è identico al mio; colori fatti di nebbia e di piccole luci che parlano della stanchezza e della voglia di lasciarsi andare che fanno parte anche di me. Di me, come di tutta quella parte di umanità che vive e che filtra se stessi sulle ali di una farfalla o nei tombini di una città o sotto i letti pieni di spiriti o negli occhi di un randagio o in kebab zeppi di cipolla o gusci d’uova che rimangono sulla schiena o razzi che devono andar sulla luna che prima è “di argento e formaggio”, poi solo “una palla di roccia insulsa sospesa nel cielo”.

“…alla fine il mondo è come vogliamo vederlo noi, non come ci insegnano a vederlo gli altri”: in questa frase sta, a mio vedere, il nucleo drammatico dell’intera narrazione.
Si tratta di in una questione di sopravvivenza e di vita. Ed è questo il viaggio che intraprende il protagonista di Il primo viaggio di Selene tra le stelle. E tramite il suo viaggio assistiamo anche a quello che compie Selene, fino ad arrivare al finale “un po’ sospeso, ma più o meno si capisce” dove andrà a parare.

L’illusione del sogno, quella metamorfosi essenziale della realtà, è ciò che caratterizza lo stile di Alessandro Frailis. La forte componente estetica, il preziosismo, la prosa poetica e le immagini originali ne fanno ad oggi il mio scrittore preferito italiano.
Credo che si sentirà parlare di lui. Credo che… Jeunet lo assumerebbe come co-sceneggiatore se leggesse il suo libro. Credo che si dovrebbe dare risalto alla buona letteratura in Italia. Credo che dovreste acquistare e leggere il suo libro.
E credo anche di non sapere se questa mia recensione abbia un senso ma… mi è venuta da scriverla così e così la pubblico senza rivederla se no poi mi pento e io le recensioni non le so fare.
Non saprei fare meglio i miei complimenti ad Alessandro Frailis.

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