Il racconto dell’isola sconosciuta, José Saramago

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Mi rendo conto di essere molto di parte quando si tratta di Saramago che è un autore tra i miei preferiti, ma mi sforzerò di essere qui il più razionale possibile.

Prima della trama due appunti: si tratta di una fiaba, non una favola come scritto in quarta di copertina, perché contiene una morale; c’è anche un refuso in questa edizione della Feltrinelli (ho appena letto il pezzo in lingua originale…) e mi secca tantissimo acquistare un libro da una buona CE e scoprire anche solo un errore tanto grossolano.

imageLa trama è molto semplice: un uomo chiede al Re una barca per partire alla ricerca di un’isola sconosciuta, che ancora non compare sulle carte geografiche. Il Re acconsente e gli dà una caravella. Al protagonista si unirà la donna delle pulizie del palazzo reale, l’unica che può passare dalla porta della decisione giacché non ha alcun sottoposto da governare.
Quindi una storia semplice: c’è un uomo che cerca, una donna che prende una decisione.

“…. voglio trovare l’isola sconosciuta, voglio sapere chi sono quando ci sarò. Se non esci da te stesso, non puoi sapere chi sei. Il filosofo del re, quando non aveva niente da fare, veniva a sedersi accanto a me, mi guardava rammendare le calze dei paggi, e a volte, si metteva a ragionare, diceva che ogni uomo è un’isola, ma io, siccome la cosa non mi riguardava visto che sono una donna, non gli davo importanza, voi che ne pensate. Che bisogna allontanarsi dall’isola per vedere l’isola, e che non ci vediamo se non ci allontaniamo da noi stessi.”

Lei non è interessata all’isola, alla ricerca. E’ interessata a lui.
Ma l’uomo non lo immagina, ha occhi solo per l’isola. Poi si accorgerà della donna. È bella, e molto altro, ma non lo dice. Gli uomini non dicono.

E in questo racconto in cui realtà e dimensione onirica si fondono c’è molto di “non detto”, eppure ogni elemento è perfettamente costruito per condurre a fondo e dare una stoccata al centro nevralgico delle emozioni. Esempio magistrale della punta dell’iceberg, come sosteneva Hemingway, del mondo sommerso che non si vede, il racconto è in perfetto equilibrio stilistico e tecnico. È presente la consueta punteggiatura (che poi è un’assenza) di Saramago, e potrete avere conferma della sua impronta stilistica leggendo un brano ad alta voce: non è necessario che vi sia la classica punteggiatura che scandisce il dialogo perché l’andamento è così ben congeniato, così “esatto”, che è impossibile non avere una immediata comprensione. È perfetto.
Stilisticamente parlando quindi non ho trovato nessun dettaglio fuori posto, o mancante. Il contenuto, sebbene semplice, non è per niente banale. Anzi, senza spoilerarvi nulla, dirò solo che ho apprezzato un abile stratagemma stilistico che Saramago usa per mettere fuori pista l’immaginazione del lettore che, fino a un certo punto, crederà di sapere esattamente come andrà a finire la storia. Il patto tra scrittore e lettore è dunque rispettato. Ma stiamo parlando di Saramago, e lui, come pochi, del suo lettore fa ciò che vuole. E così, lo irretisce con il suo stile fuori da ogni canone classico: i dialoghi e le brevi descrizioni scandite solo da virgole, la formazione di lunghi periodi, hanno un che di magico. Entrando nei panni dello scrittore, e dunque nel racconto, il lettore è ormai in balìa del narratore. E lui guida il prigioniero fino a una dimensione profonda, quella parte dell’iceberg sommerso di cui all’inizio vedeva solo la punta galleggiare sul pelo dell’acqua narrativa. In quel sommerso trova solo Dolcezza, Meraviglia e Bellezza.

“Piacere è probabilmente il miglior modo di possedere, possedere dev’essere il peggior modo di piacere.”
Piccole perle come queste costringono a fermarsi ogni tanto sul fondo, risalire per prendere respiro, e poi giungere alla conclusione che
“Tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca”.

Io l’isola, la morale della fiaba, l’ho trovata. Potrebbe essere solo il mio punto di vista ma preferisco non condividerlo solo perché vi leverei il gusto di leggere questa piccola meraviglia.

Bellissime anche le illustrazioni antiche a colori dall’Atlante di Battista Agnese (1553).

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Unico vero neo del racconto: sono solo 43 pagine e si leggono in un quarto d’ora. Dura troppo poco. Per fortuna, la bellezza che dona rimane dentro per parecchio.
Buona lettura ^_^

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